Caos Larp Wiki
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“Ricorda ciò che sei.

Ricorda da dove vieni.

Accetta il potere.

Abbraccia il Cambiamento.”

Drejetesia Blackfyre, originaria della Foresta delle Succubi su Westeros, è una cultista e maga seguace del grande Dio del Mutamento, Tzeentch.

Abbracciò la Corruzione del Caos in giovane età, abbracciando la potenza che il Dio tramite l'intercessione del suo Maestro, Brynden Rivers, il Corvo a Tre Occhi, a lungo perduto ed oggetto di costante ricerca da parte della ragazza.

Storia ed Origine[]

"La Foresta delle Succubi era più spettrale delle foreste di Westeros dove Drejetesia era cresciuta e, a suo parere, ci voleva parecchio per battere le lande desolate oltre la barriera. Solo lei ed i figli della foresta avevano il coraggio di abitare quelle caverne e quelle foreste, laddove gli alberi sembravano scheletri e il candore della neve ovattava ogni suono rendendo l’estremo nord un luogo surreale e tetro.

Era un anno che non tornava a Westeros, a dir la verità non le mancava molto; era una Blackfyre ma non aveva mai vissuto una vita da vera sangue di drago. Da quando il Corvo a tre occhi, Brynden Rivers, l’aveva adottata da neonata era cresciuta assieme a lui e ai figli della foresta, apprendendone usi e costumi. Era esattamente un anno che la sua ricerca era cominciata, un anno intero che il suo patrigno era scomparso nel nulla dalla loro terra.

Le tornò in mentre Alexander, quel prete rosso di Westeros che l'aveva trascinata su Lunaria dicendole che Reyok e gli accoliti l'avrebbero aiutata a trovarlo. Una vena di rabbia le salì alla testa, odiava quei traditori. Aveva servito Moebius ed era rimasta molto colpita dalla forza e dai valori di quell’uomo, sapere che i suoi stessi compagni avevano tradito il campo per schierare sotto un'altra casata per lei era inammissibile. Tutto ciò che rimaneva del suo Moebius era solamente uno stemma…e Odion, che lo volesse o meno, Odion era l’ultimo sangue di drago nel campo Soldraconis, per questo lei aveva deciso di servirlo fino alla morte. “Un drago si inchina solo ad un altro drago” era una delle cose che il Corvo le aveva insegnato. La ricerca del suo maestro si era fermata da un anno ma aveva preso una svolta quando era tornata dall’ultima chiamata: la notte dopo il suo ritorno era al porto di Erebo per acquistare alcune merci ritualistiche che aspettava da mesi quando aveva notato un gruppo di creature con becchi da rapaci scendere da una nave.

Uno di loro l'aveva fissata, e nella sua mente aveva giurato di udire l’eco lontano di una litania: “Ceneri di anime perdute giacciono sulle ali di colui che tutto osserva… se cerchi un corvo che si è perso prova a seguire lo stormo”.

L’essere l'aveva fissata di nuovo mentre gli sfuggiva una risata soffocata e dall’aria del tutto folle. La ragazza iniziava a sentire le gambe pesanti, erano due giorni che seguiva le tracce di quegli esseri. Stava pensando di accamparsi quando una leggera nebbia iniziò a salire attorno a lei. Sembrava che la foresta fosse improvvisamente invasa da banchi di nebbia azzurra, una cosa insolita visto che nei giorni precedenti non ne aveva incontrata. Si sbrigò ad accendere un fuoco prima che il legno si inumidisse troppo e si coricò su un giaciglio di pellicce per la notte.

Stava ormai dormendo da qualche ora quando un rumore le fece socchiudere gli occhi per guardarsi attorno. Pensò di avere la vista annebbiata dal sonno ma poi si accorse che non riusciva ad aprire le palpebre, si erano fatte improvvisamente pesanti, come dopo una forte sbronza. La sua mente era completamente offuscata e non aveva forze nemmeno per spostare un muscolo. Quel poco che riusciva a vedere erano le braci del fuoco che ormai stavano morendo, la nebbia era scomparsa e attorno a lei c’era solo il buio della foresta. In lontananza il verso infernale di qualche bestia caotica. L’ultima cosa che vide, prima di crollare di nuovo nel sonno, fu una figura dalla lunga tunica ed il viso pallido che dalla foresta si avvicinava a lei.

Un forte peso alla testa fu la prima cosa che sentì. Poi vennero il dolore alle braccia e il freddo pungente sulle gambe. Aprì gli occhi e mise a fuoco la stanza in cui si trovava. Era in una cella, fredda e umida, le pareti di roccia bagnata e due fiaccole appese al muro. I suoi polsi erano legati dietro la schiena con due catene di cristallo blu, così fragili ma indistruttibili; le osservò interessata: non aveva mai visto una magia simile, nemmeno a Vilegis. La porta si aprì con un cigolio fastidioso ed entrarono due figure, una alta e snella e una un po’ più tarchiata. Drejetesia poté riconoscere la figura vista la sera prima nella foresta. Il ragazzo doveva avere sui venticinque anni, la pelle pallida liscia e perfetta, le pupille nere molto dilatate rendevano il suo sguardo stranamente dolce nonostante la glacialità del colore dei suoi occhi, i capelli dal biondo chiarissimo, quasi argentei, erano raccolti in un codino dietro la nuca; l'altro era un signore sulla cinquantina, al posto delle mani aveva degli artigli ed i capelli grigio cenere, il suo viso era segnato da talmente tante rughe da sembrare una mappa. L’uomo anziano si avvicinò a lei osservandola come si fa con gli animali in gabbia.

-“Non vedo simboli caotici Rastaban, pensi parli la nostra lingua?”

Drejetesia fece per rispondere e si accorse, solo in quel momento, di non avere la voce. Un velo di panico iniziò ad insinuarsi dentro di lei.

-“Glielo chiederemo quando finirà l’incanto, ho usato le nebbie della palude dei sussurri per stordirla, sai il loro effetto, dura qualche ora. All’alba probabilmente riuscirà a parlare di nuovo e riprenderà il pieno delle forze. Però ora può… annuire.” Il ragazzo rise, si stava prendendo gioco di lei e questo a Drejetesia non piaceva affatto ma sapeva di dover mantenere la calma se voleva uscire viva da lì, i caotici non si facevano problemi a tagliare qualche gola.

-“Non sarebbe la prima a passare sopra le nostre terre, non dovresti attaccare chiunque vedi Rastaban, così spargiamo sangue senza motivo.”-

-“Ci stava seguendo, cercava i tre bifolchi che abbiamo mandato al porto. Sono stati così furbi da farsi seguire.”-

-“Forse perché volevano farsi seguire. Rastaban sei un mago molto bravo ma ti manca l’astuzia, sii più sveglio. Le vie di Tzeentch sono misteriose ma non ci vuole molto a capire che questa ragazza non è qui per caso del destino. Il nostro signore pianifica ogni cosa e molti dei nostri adepti più anziani riescono a compiere il suo volere meglio di te.”- si avvicinò alla borsa di Drejetesia ed iniziò ad estrarre delicatamente con gli artigli le cose che conteneva.

–“Guarda un po’. Queste rune le ho già viste, non è lo stesso pendaglio di Brynden?”-

Al vedere la sua collana penzolare dalle mani dell’uomo Drejetesia tentò di liberarsi, ma tutto ciò che riuscì a fare fu contorcersi e ringhiare verso i due uomini.

-“Che atteggiamento bizzarro… quasi sensuale non trovi? Abbiamo un animaletto in catene.”- sussurrò il ragazzo dai capelli d’argento. –“Ringrazia che non siamo slaaneshi.”-

L’uomo lo interruppe –“Vai a chiamare l’oracolo prima che parta. Questa è roba per lui.”-

Dopo qualche minuto dalla porta entrò un uomo alto, dall’aspetto vecchio tanto da sembrare un albero secco ed avvizzito, le sue mani non sembravano più le stesse di un umano: le sue dita si stavano allungando ed erano fine come bastoncini. Drejetesia sussultò riconoscendo il suo maestro, un sorriso le si stampò in volto e gli occhi le luccicarono. Tentò di parlare ma la voce ancora le mancava.

-“Nostro Oracolo, Rastaban ha trovato questa ragazza di sopra, abbiamo notato che possiede alcune delle tue rune. Guarda…”-

-“Non serve che mi mostri nulla gran maestro. Non per niente sono l’oracolo di questa confraternita, so bene tutto ciò che accade e deve accadere. E si dia il caso che conosco molto bene questa ragazza.”- le sue mani guizzarono in un gesto fluido e dei fuochi fatui azzurri uscirono dalle sue dita, scivolarono dietro la schiena di Drejetesia e sbloccarono le catene.

La ragazza balzò in piedi e fece un passo verso il suo maestro ma le sue gambe non ressero e cadde in avanti. Poco prima di toccare terra Rastaban si mise davanti a lei e la afferrò al volo, la ragazza notò il pallore dell’uomo diventare improvvisamente rosato, lui fece una smorfia di imbarazzo e la passò al Corvo a tre occhi che la prese sotto braccio.

-“Il tuo viaggio è stato lungo e travagliato, ma Tzeentch voleva questo per te. Noto che te la sei cavata molto bene. Ti fidi di me?”- Drejetesia annuì. I due uscirono dalla cella e camminarono lungo i corridoi fino ad una sala enorme. Sotto i loro piedi di estendeva una gigantesca piscina dalle acque nere ed al centro si ergeva un’enorme statua del dio rapace.

-“Lui è Tzeentch, conosci le divinità del caos, io venni a contatto con lui molto tempo fa, mi diede la capacità di battere i miei nemici in battaglia, l’enorme potere della mia armata di arcieri e le mie capacità di metamorfosi e chiaroveggenza. Abbiamo imparato molto dai figli della foresta, ma le nostre capacità derivano da un patto che ho stretto con lui. La tua anima è stata segnata prima ancora che tu nascessi. Non odiarmi per questo, imparerai che ciò che ti può dare lui è il più grande e potente dei doni: la conoscenza.”- poi si rivolse verso la statua e parlò direttamente ad essa –“ ho pagato il prezzo, ti ho portato l’anima più cara che avessi, ora ti prego…”

Non fece in tempo a finire la frase che l’enorme statua iniziò a muoversi, le ali di ossidiana scricchiolarono al loro dispiegarsi, gli occhi del dio Rapace brillarono di fiamme violacee. L’aria iniziò a caricarsi di elettricità ed i capelli di Drejetesia si sollevarono fluttuando nel vuoto.

L’enorme testa di Tzeentch si abbassò fino ad arrivare di fronte alla druida. Il suo respiro rimbombò nella sala facendo spegnere le candele presenti. La stanza calò nelle tenebre. Improvvisamente Drejetesia ed il dio non erano più lì, ma sospesi in un luogo che lei avrebbe definito l’inizio dei tempi: fluttuavano in un mare di plasma viola, galassie e stelle vorticavano attorno a loro componendo dolci onde e disegni dall’aspetto vorticoso.

-“Ricorda ciò che sei.”- disse il dio ed il sangue nelle vene di Drejetesia iniziò a pulsare caldo come quello dei draghi. -“Ricorda da dove vieni.”- i suoi tatuaggi, fatti dai figli della foresta divennero bianchi e luminosi. Nella sua mente vide i figli della foresta sorridere come il giorno in cui la accolsero. I loro denti aguzzi, felini, ed i loro grandi occhi gialli riempivano la sua mente. Un fortissimo dolore le riempì la bocca. Vide i suoi denti cadergli in mano, il sangue uscire dalla sua bocca e la vista appannarsi dal dolore. Socchiuse la bocca e la lingua le si tagliò con qualcosa di affilato che aveva sulle gengive. Si toccò con le dita, senti dei denti affilati scendere al posto di quelli umani. Poi si guardò le mani e vide le sue unghie allungarsi come artigli.

-“Accetta il potere”- rune brillanti comparvero come nuovi tatuaggi sul suo corpo. -“Abbraccia il cambiamento.”- Tornò il buio. La sensazione di cadere nel vuoto. Un bruciore incessante sulla spalla sinistra, come fosse stata marchiata a fuoco.

Quando riaprirono le porte della grande sala era stesa a terra, avvolta in un bozzolo di stoffe di seta dove viola, azzurro, blu e verde coesistevano in un unico ed indefinibile colore che mutava costantemente. Quando le guardarono il volto era svenuta ed una lacrima scese dalla sua guancia per poi cadere nella piscina di acqua nera sottostante.

Dopo quel piccolo suono nella sala tornò la quiete."

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